«Le persone possono morire, possono cambiare faccia. Le idee no, non passano»
È rimasto celebre un pensiero simile di Giovanni Falcone. Lo sosteneva pure Pietro Nenni: «Le idee camminano con le gambe degli uomini». Ci precedono, hanno un valore più duraturo di ogni singola vita umana. Gandhi, M.L. King, Mandela sono morti. Le loro idee, no. Ma da dove viene questa frase senza tempo?
Viene da un lunedì sera di dicembre, freddo strisciante. Il Partito Democratico ha appena eletto un nuovo segretario con primarie dall’affluenza sorprendente. Un bar “dei brutti” diventa teatro di conversazioni belle. Due tramezzini e un telefono da caricare. Cominciamo a dialogare.
– Ieri sera sono andato a letto felice. Non tanto per Renzi. Le primarie del PD sono state una festa di partecipazione. Quasi tre milioni di votanti. In un mondo in cui tutto dice stanchezza, disinteresse, rancore, tre milioni di persone hanno voluto dare una mano al cambiamento.
– Credi? Non sono d’accordo.
– Cosa c’è che non ti convince?
– Sento la necessità di non aggrapparmi a una persona. Le persone possono morire, possono cambiare faccia. Le idee no, non passano. È il dramma del tempo post-ideologico: non si ha più unità intorno a un’idea, ma intorno a un individuo. Per me dare 2€ e votare una persona non basta per “creare unità” o parlare di “partecipazione”. Dalla politica mi aspetto unità intorno a una visione della società, del mondo che verrà.
– Io invece la vedo così: viviamo in un paese che ha bisogno di risposte concrete a problemi strutturali accumulati per anni. Mi sembra che Renzi proponga soluzioni per risolvere alcuni di questi problemi. Adesso Renzi ha avuto una legittimazione fortissima da un grande numero di elettori: le sue idee sono diventate le proposte di un partito e della sua base di cittadini. Perché non ti convince che si possa creare unità intorno a queste proposte concrete?
– Non capisco che cosa intendi per “concretezza”.
– Ti faccio qualche esempio: una legge elettorale che dia governabilità al paese, visto che abbiamo avuto 62 governi nella storia della Repubblica. Se penso che gli Stati Uniti hanno avuto 57 elezioni presidenziali, con quasi due secoli di storia in più di noi…
– Poi?
– Semplificazione istituzionale e taglio ai costi della politica. Piano per il lavoro che parta dalla semplificazione delle norme. Interventi di tutela dell’ambiente. Investimenti sulla cultura.
– Provo a risponderti punto per punto. Partiamo dalla governabilità: in Italia la situazione politica è sempre stata soggetta a interessi esterni. Nel dopoguerra eravamo lo stato chiave del Mediterraneo con al suo interno il più forte partito comunista d’occidente. Dunque in realtà la stabilità c’è stata, ma intorno alla Dc che riusciva ad assorbire quanti più interessi possibili. Quanto al taglio dei costi e alla semplificazione della politica, sono proposte ormai di tutti i partiti: non c’è identità culturale in questo. Il lavoro: molto vicino a Renzi era Ichino, oggi disperso nella galassia Monti, che personalmente non mi ha mai convinto; poi Renzi si è detto d’accordo con gli interventi della Fornero, non certo un’identità di sinistra. Mi stuzzicano ambiente e cultura, ma sarei interessato a conoscere meglio le soluzioni nazionali individuate da Renzi, che invece su questi temi tende a ricordare i suoi interventi da sindaco.
– Ma è vero o non è vero che abbiamo bisogno di interventi drastici, immediati? L’Italia è impantanata nelle cose che non riesce a fare. Renzi ha il merito di indicare con chiarezza, senza i tentennamenti del politichese, alcune strade.
– Si adatta soltanto ai tempi brevi della politica di oggi. Io continuo a non capire che idea abbia Renzi della società di domani. Sento i suoi slogan: ma sono un prodotto di uno staff ristretto? O davvero rispecchiano ciò che pensa chi lo ha sostenuto? Quegli elettori delle primarie PD, metà dei quali solo l’anno scorso sosteneva un candidato con un’ dea di società completamente diversa? Guarda come cambiano velocemente le cose oggi. Pensa a Grillo, che da paladino della democrazia diretta è diventato un mezzo despota. Io di questi politici non mi fido più, ho in mente altro per la politica.
– Capisco il tuo discorso, ma il mondo corre, e noi stiamo indietro. Bisogna creare consenso su alcune idee basilari per l’oggi. Poi, a partire da questo consenso, credo che si potrà aggregare una base sociale che costruisca idee per il domani. Io la vedo così.
– Tu mi parli di un grande consenso nella libera espressione di 3 milioni di cittadini. Nel 2011 sono stati oltre 27 milioni di persone a schierarsi a favore dell’acqua pubblica, a dire no al nucleare. Era una questione che tracciava un’idea di società: ma il referendum, e il popolo che lo ha votato, hanno acquisito la stessa legittimazione di Renzi? No. Io penso che lui faccia politica del consenso.
– Non sono d’accordo, per me il fatto di dire parole chiare oltre che sulla politica anche su temi come ambiente, scuola, pari opportunità, inclusione degli immigrati è segno di una visione. E se l’elaborazione nazionale non è ancora completa – io per primo sono rimasto perplesso dalla vaghezza di alcune proposte in campagna elettorale – l’esperienza di sindaco mi pare un campo in cui le sue idee sono state messe alla prova. Certo sarebbe bello essere più vicini a Firenze, aver conosciuto giorno per giorno il lavoro di sindaco del nuovo segretario, per poter giudicare con maggiore competenza. Ma senti, Renzi cita spessissimo Obama. Per te, nel sistema ancora più mediatico degli Stati Uniti, Obama ha un’idea di società?
– Certo. Pensa all’intervento sulla sanità. Per gli USA è qualcosa di rivoluzionario.
– Bene. E se Renzi riuscisse a fare lo stesso con la cultura e l’ambiente? Se il dato dei tempi fosse che oggi la politica deve saper fare quadrato su poche questioni fondamentali, pur di guadagnare consenso?
– Non lo posso accettare. Viviamo in un momento di precarietà politica ed economica. Ma trattiamo temi che segneranno la vita della società per 20, 30 anni. È questa la politica con cui vogliamo affrontarli? Questa politica “pop”?
– Posso capire, ma usciamo da venti anni di Berlusconi, e ora una larga fetta di società è stregata da Grillo e i suoi “vaffanculo”. Ma perché non possiamo accettare che Renzi sia il polo di attrazione di un nuovo rapporto tra cittadini e politica, anche di un nuovo modo di fare politica?
– Nuovo? A me non sembra. La politica parla soprattutto di se stessa. Guarda oggi! Grillo e Berlusconi, da fuori il Parlamento, vogliono sfasciare il sistema. Alfano e Letta, da dentro, cercano di preservarlo. Un gioco fra governabilità e protesta in cui si legittimano a vicenda. È la fine della politica, la politica che parla di sé. Come hai detto anche tu, le proposte più convincenti di Renzi (taglio costi, abolizione del Senato, riforma elettorale) sono ancora riferite alla politica. Non si va oltre, questo è il dibattito.
– Ma la politica non prende decisioni da una vita. Questo è il momento di chiarirci su come deve funzionare, per fare in modo che poi finalmente si possa intervenire sul lavoro, la società, il domani.
– Io vedo un punto: che la politica parla di ciò di cui non dovrebbe parlare. A Renzi do il merito di saper arrivare con semplicità alla gente con contenuti “positivi”. Ma pure Grillo lo sa fare, in negativo. Quando un Renzi, o chi per lui, mi parlerà davvero a fondo di disoccupazione, prospettive per i giovani, precarietà, lavoro, lo sosterrò.
– Rispetto le tue conclusioni, ma il punto a cui arrivo io invece è un altro. La politica è consenso, e oggi, per i fallimenti di cui la stessa politica si è resa protagonista, nessuno le attribuisce più fiducia. Bisogna ricostruire il consenso partendo dalla base, convincendo i quasi 30 milioni di italiani che alle politiche hanno votato per Grillo o Berlusconi, o nemmeno si sono presentati alle urne, che una politica affidabile può ancora esistere. Renzi, ma tanti volti che lo sostengono (te ne dico uno su tutti: Roberto Giachetti), sta cercando di compiere questa operazione. Ricompatterà l’Italia in un clima diverso nei confronti della politica? Sarà la base per farci diventare “la locomotiva d’Europa”? Non possiamo saperlo. Secondo me però si parte così, dai 3 milioni di domenica.
– Secondo me no.
– Lo accetto, vedremo.
– Quel che è certo è che continueremo a informarci e a discuterne, tra noi e con gli altri. Se ci tiriamo indietro, siamo già sconfitti.
Non sempre i dialoghi hanno una sintesi. E ognuno può avere una posizione differente, sfumata, opposta, altra. Ma solo il confronto costruisce unità. Che ne pensate amici? L’Italia sta davvero cambiando verso?